Passeggiata artistica fra Brera e Porta Ticinese
BRERAKLASSE#2 – Evento collaterale
Ex Chiesa di San Carpoforo
Via Marco Formentini 10, Milano
Giovani artisti, studenti o ex studenti del biennio specialistico di fotografia dell’Accademia di Brera
Arrivo in zona Brera e mi incammino lungo le vie in ciottolato. Gli studenti riempiono gli esterni del bar e prendono il primo sole della stagione. Entro alla mostra e la pianta a croce latina mi suggerisce di essere in una chiesa sconsacrata, quella di San Campoforo. L’ambiente è totalmente spoglio; l’allestimento minimale garantisce allo spettatore un’attenzione più precisa nell’osservare le fotografie. Ventidue studenti dell’Accademia, selezionati da una giuria di docenti, espongono un progetto di ricerca sperimentale in cui il linguaggio fotografico viene esplorato a livello ontologico, al fine di scoprire nuove chiavi di lettura. Le fotografie sono in armonia con lo spazio, mi spiace non ci siano gli autori per farmi spiegare in modo specifico le loro ricerche. L’unico che incontro è Giovanni Sellari: presenta due fotografie e un video nei quali richiama il libro Cromofobia di David Batchelor, attraverso l’uso diversificato dei colori rosso, verde e giallo. Interessanti sono gli strappi di Ezio Roncelli: unisce pezzi di fotografie con ambientazioni simili, in modo tale da unire in un ricordo persone che nella realtà non sono mai state insieme. Morgane Quere reinterpreta l’effetto chiaroscurale di Caravaggio: Anonymous Versus Merisi presenta alcuni sconosciuti in ambienti scuri con una luce puntata contro. Comunicazione muta è il titolo dell’opera di Florian Zyba che consiste in un libro tedesco con due fotografie trattate pittoricamente. Attraverso la tecnica del puntinismo, l’artista ha saputo ricalcare fedelmente le fotografie dando loro un’impressione di movimento. Oggi decido di farmi una passeggiata per il centro di Milano, perciò mi avvio a piedi verso Porta Ticinese, dove trovo il successivo studio.
REPULSION
Matilde Solbiati
Via Arena 19
Francesca Faccilongo Ulrich, Matilde Solbiati, Riccardo Banfi
Salgo le scale di un caratteristico palazzo milanese e vengo accolta in un piccolo studio che sprigiona con forza la passione di Matilde per le immagini: alle pareti sono appese fotografie con volti di donna, i cui occhi sono sostituiti con collage di oggetti quotidiani come frutta, pesci. Incuriosita, mi dirigo alla stanza successiva e trovo l’artista davanti alle sue opere. Le sue ricerche partono da studi di psicologia legati a Lacan: a livello inconscio, ogni individuo percepisce il desiderio come una falla ancestrale, poiché al momento della nascita viene distaccato forzatamente dalla madre. L’artista vuole trasmettere una critica contro l’economia capitalistica che ha sfruttato a suo favore questa mancanza, promuovendo il consumismo, insinuando nella mente dell’individuo bisogni materiali che non sono davvero necessari e causando l’estinzione del reale desiderio. Questo concetto viene esplicato visivamente tramite un’installazione con disegni di neonati che piangono e fili di led arancioni che enfatizzano l’azione del parto; Repulsion invece é costituita come un’architettura di giochi per bambini, bombardata di immagini legate al sistema della società . A lato, quattro fotografie del progetto I found myself in Guwahati di Riccardo Banfi comunicano una ricerca istintiva perseguita durante una residenza in India. L’artista appare interessato alla natura, soprattutto agli animali e alla sfera notturna della vita dei giovani indiani, spinti ad allontanarsi dalla propria cultura a causa dell’occidentalizzazione. Inizio a sentire l’audio del cortometraggio Waterproof Mind, mi sposto nell’altra stanza. Francesca Faccilongo Ulrich decide di proiettare il suo lavoro su una tenda bianca; girato in pellicola 16mm e montato attraverso l’utilizzo di una moviola Steenbeck, presenta la bellezza, l’estraneità e la vivacità coloristica dei film surrealisti.
Veronica Barisan
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