IL FESTIVAL DELLE MOSTRE
NEGLI STUDI DEGLI ARTISTI

14/18 Marzo 2017 - Milano

Leggero, ma…

Nessun comunicato stampa, nessun display troppo ricercato, lo studio fresco dell’ultimo pomeriggio di lavoro e una porta aperta che dà su via Guglielmo Pepe: la porta forse era leggera ed è stata aperta da una corrente d’aria. Così, trovatisi in questa corrente, con Studi Festival alle porte, Giuseppe Buffoli, Anastasia Roelink e Stefano Spera hanno deciso su due piedi di invitare tre amici artisti ad accomodarsi con i loro lavori tra i tavoli e gli attrezzi dello studio. E per far fede a quel vento da cui tutto è nato, quello che travolge ciò che è leggero, la scelta su chi invitare non dev’essere stata difficile: il filo che lega le ricerche di Claudia Maina, Lorenzo Manenti e Fabio Marullo è evidente. Evidente, non rigoroso, perché in tema di leggerezza il rigore si dissolve in deliziose sbavature.

Claudia Maina, con la risolutezza di chi non ha bisogno di alzare la voce per farsi sentire, applica le sue incisioni su vetro a pochi centimetri dai muri bianchi dello studio. La superficie liscia delle tre lastre su cui linee opache tracciano l’immagine di tre finestre, è da una parte una barriera tra lo sguardo e il muro, ma dall’altra lo sfonda attraverso il gioco di rimandi poetici. Maina non interviene sostituendo il suo lavoro alla superficie del muro – nascondendola – l’artista interviene sul muro, con il muro; ne cambia il rapporto con chi vi si para davanti, normalmente distratto e disinteressato e ora invitato a prendersi il tempo di scrutare i segni bianchi nel bianco. Poco oltre si trovano alcuni suoi schizzi di finestre, accompagnati da annotazioni sulla loro collocazione e sulle suggestioni suscitate nell’autrice alla loro vista. Uno strato di nastro adesivo trasparente ricopre i fogli di carta e il solvente della colla agisce sul tratto d’inchiostro, spalmandolo leggermente sulla carta: i contorni dello schizzo diventano più liquidi, come le soglie sulle quali Maina ama indugiare.

Sulla parete accanto si arrampica una scultura di Fabio Marullo, sola. Sembra che due frammenti di rami si siano ritrovati senza tronco, né fronde, come fossili sopravvissuti a secoli di storia. Allora i due si affiancano l’un l’altro e insieme sfidano la gravità, per recuperare la posizione perduta, anche senza il sostegno del corpo dell’albero.

Al centro della sala, su un tavolo coperto da una carta velina, in un allestimento dalla pulizia frettolosa eppure molto delicata, alcune architetture in miniatura incantano lo sguardo: sono cupole ed elementi dell’architettura araba, ricavate dalla lavorazione di bottiglie di plastica. La minuzia del lavoro di Lorenzo Manenti, il quale trafora la plastica con sottili punte roventi, trasforma il materiale di scarto in qualcosa di prezioso: gli intarsi colorati, ma soprattutto il nero della fuliggine – risultato della lavorazione, e che richiama i ferri battuti tipici delle architetture arabe – sono i dettagli che fanno la differenza. Manenti scopre questi motivi ornamentali e l’elegante geometria dei caratteri cufici durante una residenza in Giordania; qui inizia a concepire questa serie di sculture, alla quale inizierà a lavorare solo a distanza di anni e che viene esposta per la prima volta in quest’occasione, grazie all’insistenza dell’amico Giuseppe Buffoli. La leggerezza del lavoro di Manenti non va assimilata a un puro esercizio di stile. La responsabilità dell’uomo verso la memoria storica si traduce, qui, nell’attenzione all’oggetto plastico e alle sue componenti materiali; nel tentativo di dare giustizia alle sue forme; nel tempo speso in studio con gli occhi a pochi centimetri dalla punta dello stecco – lui, con le sue mani grandi e la sua corporatura robusta: un’immagine ossimorica molto dolce.

Ma…con leggerezza è il titolo dato a questo breve dialogo a tre, dove in quel “ma” è contenuta la consapevolezza di un mondo tutt’altro che leggero, fuori dallo studio; un mondo da cui i tre non scappano, ma che decidono di attraversare a cavallo della bellezza delle forme.

Bianca Frasso

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