E il cerchio si chiude. E il cerchio si apre. E..
Appena fuori dallo studio di Loredana Longo un ingresso illuminato attira lo sguardo, la porta è molto piccola e i vasi di fiori sulla soglia sono le discrete e deliziose ghirlande di una Milano poco vista. La dimensione intima di Abito è chiara a metri di distanza. Giuseppe De Siati apre per l’occasione la porta non solo al suo studio, ma al luogo stesso in cui abita: la sua cucina, la sua camera da letto. Mi fiondo dentro senza troppe cortesie, perché quando c’è generosità è bello goderne. Entro in una cucina e vengo accolta da Gianluca Zonca, che mi invita a percorrere il percorso all’inverso, mi accompagnerà lui. La mia visita comincia con un’interruzione e un reindirizzamento, ma il percorso è circolare e alla cucina torneremo, questo mi viene assicurato.
Così entriamo nella porta accanto, che conduce a un piano interrato: di fronte alla scala Flusso, di Jimmy Milani è una cascata di carta colorata che invoglia alla visita. Si va sempre più giù, ma la luce aumenta. L’ospitalità è tutta una questione di toni. Al centro della stanza, per terra, tra divani, vasi, coperte e soprammobili, troviamo 14mq, di Giuseppe De Siati: un cumulo di palline di polistirolo tremula, sospinto da correnti di vento e campi magnetici. Le palline si attaccano alle suole delle scarpe, sono mobili; il cumulo si espande difforme, proprio come i confini del vivere di una coppia. Questi, malleabili e in continuo divenire non possono essere contenuti nei 14mq che il decreto ministeriale del 2 luglio 1975 stabilisce essere lo spazio minimo adeguato alla coabitazione di due persone. Se questo lavoro, il cui titolo fa proprio riferimento alla dimensione stabilita dalla legge, attiva una riflessione rispetto allo spazio, Gianluca Zonca è invece interessato alla dimensione temporale dell’abitare. La sua Istante è una lastra ricoperta da una vernice termosensibile, che cambia continuamente e impercettibilmente di colorazione, in relazione alla programmazione di controllo della temperatura regolata da un timer. Assistere interamente ai due cicli di vita dell’opera previsti dall’artista è uno spettacolo per pochissimi, forse solo per Zonca stesso o per uno spettatore tanto coinvolto da voler dedicare moltissimo tempo all’opera. La concessione e il dono del proprio tempo emerge allora come elemento di costruzione dell’intimità. Saggio è la piccola scultura di Giuseppe de Siati che, silenziosa, carica di connotato simbolico i discorsi aperti nella stanza: la forma che si crea tra i palmi di due mani accostate è quella di un seme, qui riprodotto con una rete, capace di filtrare e trattenere solo ciò di cui ha bisogno per crescere.
Salite le scale si è già nella camera da letto del proprietario di casa. De Siati è qui; penso ci sia da tutta la sera, a raccontare storie di uomini e delle loro mani; di dita che avvolgono sassi per metterseli in tasca; di sassi che tornano al mondo attraverso tasche bucate; di mandibole che afferrano per ingerire, che mordono carne, parole e pensieri; De Siati racconta di una lingua che è corpo, di una relazionalità che è corpo, e che si mostra attraverso gli oggetti del proprio abitare.
Mi chiamano mentre sono ancora in ascolto di tutte queste storie; devo scappare e riesco solo a intravedere le scatole di biscotti dentro cui Sara Siami ha nascosto i suoi taccuini. Non è un caso se è proprio la cucina, quella che De Siati definisce la Stanza della Conoscenza, ad accogliere questo lavoro. Il disegnare, il dipingere, il prendere appunti sono forme di costruzione della conoscenza, sviluppo ulteriore del rapporto carnale tra uomo e mondo; una conoscenza che viene nascosta entro una fisicità oltre la quale si può accedere solo in dimensioni di spazio e tempo privilegiate: quelle raccontate nella stanza interrata. E il cerchio si chiude. Per poi riaprirsi.
Bianca Frasso
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